U.O.E.I.
UNIONE OPERAIA ESCURSIONISTI ITALIANI
Sezione "Antonio Tessa" -
RIPA DI VERSILIA
TRADIZIONI E CREDENZE POPOLARI
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Il susseguirsi degli eventi, da tempi
immemorabili fino ai giorni nostri, nel comprensorio apuano hanno
profondamente influito sulla formazione della cultura popolare, e il
relativo isolamento delle vallate ha certamente contribuito al
mantenimento delle peculiarità dialettali. Dialetti così
diversi, anche in paesi assai vicini, da risultare spesso
reciprocamente quasi incomprensibili. Le tradizioni e leggende
popolari, seppure ampiamente inserite nel contesto cristiano,
mostrano chiaramente il retaggio di influenze pagane, con numerose
superstizioni ancora radicate soprattutto tra gli abitanti autoctoni.
Un classico esempio è rappresentato dal Canale dell’Inferno,
sulla Pania: un luogo assolutamente da evitare dall’imbrunire in
poi perché vi si riunirebbero le streghe per celebrare i loro
riti di cui si vedrebbero i lumi. Il canale sarebbe infestato, sempre
di notte ovviamente perché di giorno è una difficile ma
bella via di salita alla vetta, da strani animali e addirittura
spettri terrificanti. Certo è che le incisioni rupestri,
praticate in tempi remoti, sugli ampi lastroni della zona non
tranquillizzano i superstiziosi soprattutto quando rappresentano
roncole, simboli sacri e figure misteriose. Molte in realtà
sono segni che risultano modificati nel tempo, molti altri sono
appena percettibili alla luce dell’alba e del tramonto, per cui non
sempre la loro lettura è facile. Di particolare valore
semantico sono però le “coppelle”: incisioni
particolarissime, incavi scavati nella roccia, di forma rotonda o
rotondeggiante di profondità variabile,con sezione conica,
ellittica o circolare.
Si suppone incise con un’altra pietra
più dura; hanno richiesto certamente determinazione e
lunghissimi tempi di lavorazione anche perché le rocce sono
dure e resistenti. Spesso collegate a canalette e spesso a gruppi,
punteggiano rocce o spezzoni di roccia lisci suggestivi per posizione
e forma.
Se è possibile dare una
spiegazione funzionale per una incisione a coppella, lo è meno
per una serie di incisioni: una roccia a coppelle assume un’identità
particolare. E’ indubbio che le prime coppelle ci giungono dalla
preistoria; ma la pratica di segnare alcune rocce
con le coppelle
arriva fino al medioevo. In taluni luoghi ha resistito a lungo
l’usanza di mettere nei fori fiori a scopo propiziatorio.Le rocce a
coppelle appaiono volutamente rispettate, non sono mai state
intaccate con altre incisioni che al massimo le lambiscono,
probabilmente perché in esse veniva avvertita una sorta di
sacralità e mistero: sacralità pagana della pietra.
Probabili espressioni religiose richiamandosi al concetto di animiamo
delle popolazioni primitive, come anche al concetto di luoghi di
culto all’aperto dei Celti e dei Germani. Altre interpretazioni:
mappe stellari, indicazioni di luoghi abitati, corsi d’acqua;
persino simboli femminili legati al culto della fecondità.
Ipotesi suggestive che portano con sé molti altri
interrogativi. Un esempio significativo del rispetto tributato alle
rocce con coppelle la troviamo all’ombra del Sumbra , a Capanne di
Careggine dove si trova una roccia ornata di una serie di coppelle.
La roccia ha servito alla costruzione delle case dell'antico borgo:
appare liscia nella zona della coppellazione, scagliata e segnata con
segni di fioretto attorno. Le case dovevano essere costruite ma le
coppelle dovevano essere rispettate. Sotto la Pania si trova invece
la cosiddetta “roccia del sole” ornata di segni solari. Alla luce
radente del tramonto primaverile i soli si annunciano con precisione,
in numero e grandezza tali da chiarire subito l’importanza della
roccia: dedicata al sole, la roccia del sole appunto. Probabilmente
oggetto di culto pagano o residuo di culti pagani.
E’ interessante notare come alcuni
dischi appaiono totalmente coincidenti con altri incisi in Val di
Lanzo. La storia
dice che in quelle valli l’humus appaia
gallico-ligure e che d’altra parte nelle nostre zone ci siano stati
insediamenti liguri e celto-liguri. Altrettanto significative sono le
numerose incisioni raffigurante lame pennate. La parola pennato è
attestata nella lingua italiana dal 1200
e i pennati vengono considerati della
stessa famiglia di falcetti, ronche, roncole; famiglia così
antica da ritrovarne esempi non solo nell’età del ferro, ma
in quella del bronzo e della pietra .Strumenti da sempre collegati a
forti simbolismi: la falce di Saturno, il falcetto d’oro con cui i
Druidi avrebbero tagliato il vischio, ne danno un esempio sommario.
Iconografie antichissime li presentano come armi e li pongono in mano
a guerrieri. L’immagine di guerrieri Apuani a consesso sulle
pendici della Pania Secca è indubbiamente molto suggestiva, le
genti Apuane subirono prima la pressione dei Galli, quindi quella di
Roma. Tra Liguri Apuani e Roma vi fu una guerriglia leggendaria,
durata quasi cento anni e conclusasi nelle gole della Valle del
Serchio. Da queste gole gli Apuani conducevano razzie nelle valli e
mitici assalti contro i nemici romani che dovettero attendere il 180
d.C. per averne ragione. Le lame incise sulla roccia potevano essere
armi? Non è certo ma assai probabile, sicuramente è
impossibile liquidarle come semplice passatempo dei pastori.
Superstizioni che sarebbe logico
ritenere relegate nei ricordi sono invece ancora presenti tant'è
che alcuni anni orsono si scatenò un'accanita caccia al
"Buffardello", un folletto dispettoso ma buono che qualcuno
asseriva di aver notato aggirarsi per le strade di un paesello.
Chiamato anche Baffardello viene spesso identificato col folletto
della tradizione lucchese, il Linchetto, anche se ne distingue per
alcune caratteristiche. E' un vecchietto di piccola statura, dalla
barba bianca, vestito di rosso che si presenta agli umani come un
animale selvatico, un uccello notturno ma molto più
frequentemente come un mulinello di vento che scompiglia tutto. Il
regno del Buffardello è la notte quando penetra nei casolari e
intreccia inestricabilmente le code di cavalli e vacche, oppure
toglie ogni notte il fieno ad una bestia per darlo ad un'altra, fino
a far deperire la prima, oppure beve il latte delle mucche e il vino
delle cantine. Nelle case invece nasconde gli oggetti, ingarbuglia la
lana da tessere; ma è in camera da letto che diventa veramente
dispettoso: tira le coperte, scopre e fa il solletico ai dormienti;
fa dispetti ai giovani sposi, disturbando la loro intimità.
Alle vecchie che dormono siede sul
petto rendendo difficoltoso il respiro (un'arcaica spiegazione
dell'asma?), e la sua risata sarcastica risuona fino all'alba. In
Garfagnana la tradizione del Buffardello è molto radicata
tant'è che alcuni usano ancora oggi apostrofare chi si
presenta con la pettinatura arruffata con la frase: sembra che ti
abbia pettinato il Baffardello! I rimedi per liberarsi del
Buffardello sono due: appendere alla porta di casa un rametto di
ginepro con molte bacche o disseminare la camera da letto di scodelle
piene di farro o fagioli. Il Buffardello per una strana malia sarà
costretto a contare le foglioline di ginepro o i chicchi che
inevitabilmente avrà versato sul pavimento, ma scapperà
subito via indispettito perché non sa contare. Nei casi
disperati si dovrà mangiare una fetta di polenta e formaggio
seduti in bagno facendo i propri bisogni, Il Buffardello schifato
fuggirà e non si farà più vedere. Leggende
popolari riguardano anche la presenza di animali di derivazione
mitologica sulle nostre montagne tant'è che nel 1989 qualcuno
segnalò a più riprese la presenza di un drago che,
sputando fuoco, aveva fuso le canne del fucile a un cacciatore che
cercava di colpirlo. Ovviamente tutti davano per certe queste
notizie, ma sempre per sentito dire, e mai fornendo testimonianze
dirette. Da riallacciare alle antiche storie sull'esistenza
dell'"Uomo Selvatico", essere primitivo dall'indole mite
che insegnava il mestiere ai pastori e ai contadini, sono i ripetuti
avvistamenti della metà degli anni 70 di un essere vestito di
pelli che si aggirava tra i boschi. Nessuno riuscì mai ad
incontrarlo ma dato che si rifugiava spesso in capanne abbandonate
numerose sono le tracce che lasciava. Uno squilibrato, un ricercato
in fuga o qualcuno che voleva mettere alla prova le sue doti dopo
aver frequentato un corso di sopravvivenza? Non lo sapremo mai.
L'uomo selvatico, chiamato anche uomo
dei boschi, era descritto come un uomo robusto con folta
capigliatura, barba incolta, statura elevata, ricoperto di peli, in
più occasioni armato di un grosso bastone. Veniva descritto
come un essere maldestro, un po' goffo ma nello stesso tempo capace
di imprese dove erano necessari una notevole agilità ed una
forza considerevole. Era considerato il primo abitante della montagna
e maestro dell'arte casearia.La tradizione dell'uomo selvatico è
legata alla vita degli alpigiani, la sua area di influenza coincide
approssimativamente con la zona di influsso celtico: si racconta che
sia proprio l'uomo selvatico il maestro dell'arte casearia che si
diverte a tirare brutti scherzi agli alpigiani. L'uomo selvatico
abitava in grotte o in ripari sottoroccia, spesso inaccessibili
all'uomo civile; sulle nostre montagne la leggenda vuole che abitasse
le pendici del Corchia dove esiste una grotta chiamata appunto "tana
(o buca) dell'uomo selvatico".
Antiche superstizioni sono alla radice
di una pratica tutt'oggi ancora assai seguita: la pratica della
segnatura. Con questa pratica si curano il malocchio e varie
situazioni di malessere, quali la cefalea, il mal di denti, Il fuoco
di S. Antonio e soprattutto i porri, escrescenze cutanee che si
formano sul dorso delle mani. A praticarla sono generalmente donne
anziane che si dicono dotate di poteri soprannaturali; è
composta da una parte gestuale, che consiste nel tracciare con le
mani o con un talismano particolari segni sulle parti malate, e da
una contemporanea parte verbale costituita dalla recitazione di
formule magiche. All'aspetto pagano della segnatura, si unisce quello
cristiano del segno della croce e da preghiere. Per malocchio
s'intende la capacità di procurare, volontariamente o
involontariamente, danni di varia entità a cose o persone
attraverso una sorta di "energia negativa", energia che
viene gettata attraverso lo sguardo, da cui la parola malocchio.
L'origine della superstizione legata al malocchio sembra perdersi
nell'antichità; già nell'Antico Testamento se ne fa
menzione, così come nella cultura romana in cui il tema del
fascinum (così chiamavano il malocchio) era universalmente
diffuso. Dalle antiche tradizioni trae origine lo spettacolo del
"Maggio", diffuso un tempo ovunque, oggi sopravvive solo in
alcuni luoghi grazie all'impegno profuso da alcuni studiosi ed
appassionati per salvare alcuni degli aspetti più
caratteristici della cultura popolare. Si tratta dell'evocazione
delle gesta dei paladini attraverso la recitazione cantata di
composizioni poetiche spesso create dagli stessi attori improvvisati.
Trae certamente origine dagli antichi riti agresti celebrati in
primavera allo scopo di propiziare la fertilità del
territorio, l'inizio dello spettacolo con l'ingresso processuale dei
maggianti ne è la traccia più evidente. Un tempo
rappresentava la lotta tra inverno e primavera ma attualmente i
contenuti si sono storicizzati e la lotta è tra turchi e
cristiani o tra ricchi e poveri, anche se rappresenta comunque
sempre, l'eterna lotta tra il bene e il male con la scontata vittoria
del bene. Il "maggio garfagnino" è l'unico a non
essere contaminato dal teatro colto conservando tutti gli elementi di
arcaicità.
Si celebra all'aperto nelle piazze dei
paesi o in radure nei boschi, senza scenografia, con solo due arredi
per simboleggiare le due corti: i buoni e i cattivi. Il pubblico
generalmente si dispone tutto intorno ai maggianti. I costumi, quasi
sempre gli stessi qualunque sia la vicenda narrata, sono generalmente
realizzati dai maggianti stessi e si limitano all'essenziale;
generalmente vengono indossati su abiti normali.
Ricchi di colori e di lustrini, sono
costituiti da spade finte, elmi con cimiero, corone di latta. Lo
spettacolo è tutto cantato e accompagnato dalla fisarmonica,
dal violino o dalla chitarra, o anche da tutti questi strumenti
insieme; il linguaggio è quello proprio dei poemi
cavallereschi del Rinascimento. Il Maggio rivive oggi come una delle
tradizioni più diffuse nell'a Garfagnana e nella vicina
Lunigiana e nel massese. Tra le manifestazioni religiose in costume
sono degne di menzione le rappresentazioni della Passione di Cristo
che si svolgono lungo le strade dei paesi ai lati delle quali vengono
allestite le scenografie. La tradizione medievale delle sacre
rappresentazioni della Passione di Cristo,rivive in alcuni centri del
comprensorio Apuano.
Gli attori sono sempre impersonati dai
paesani vestiti con costumo che riproduco gli abiti dell'epoca;
vengono allestiti gruppi scenografici della Via Crucis, che fanno da
sfondo alla lettura e meditazione del dramma della Passione. Durante
il percorso vengono rappresentate scene della passione, la
manifestazione si conclude con la crocefissione che solitamente
avviene su un colle o nei pressi di un eremo. La particolarità
di queste manifestazioni consiste nel fatto che spesso Cristo è
impersonato da un vero penitente che procede sotto il peso della
croce. La Via Crucis è una devozione popolare nata a
Gerusalemme, con l´intento di proporre alla meditazione gli
eventi drammatici della Passione di Cristo . I pellegrini della Città
Santa potevano ripercorrere il cammino doloroso del Redentore
sostando in quattordici tappe dette stazioni. A partire dal XV secolo
tale rito fu introdotto anche in occidente ad opera dei Francescani;
uno dei maggiori apostoli della sua diffusione fu San Leonardo da
Porto Maurizio, che agli inizi del Settecento predicò anche in
Lucchesia.
In tempo di Pasqua le chiese di
Lunigiana, anche quelle isolate di montagna, preparano i "sepolcri"
del giovedì santo: altari adorni di vasi di granaglie
cresciute al buio. I più eleganti, ricchi di damaschi, ori e
argenti si possono trovare nelle chiese di Pontremoli al seguito dei
confratelli della Misericordia, vestiti con rigorosa cappa nera. E'
tradizione antica anche allestire il Presepe animato in occasione del
Natale per ricordare la nascita di Gesù. Col trascorrere degli
anni è maturata una grande passione per i presepi e per l'arte
di creare scene quanto più curate possibile riguardo al
mistero avvenuto 2000 anni fa.
Gruppi di volontari, ma spesso interi
paesi, realizzano personalmente gli elementi scenografici gli oggetti
principali: la grotta, le case dei popolani, le figurine di alcuni
personaggi e la costruzione di alcune scenografie può
richiedere tempo, oltre al tradizionale periodo natalizio, fino a
diventare l'impegno di tutto un anno. Le statuine si muovono
indipendentemente, spesso azionate da un unico motore elettrico collegato alle statuine con centinaia
di pulegge e cinghie. Il presepe richiede una continua ed attenta
manutenzione e ogni anno vengono apportate piccole modifiche e
migliorie. Non manca un complesso impianto idraulico che alimenta
fiumi e laghetti, il tutto sapientemente illuminato dall' effetto
giorno e notte, sempre più spesso gestito da congegni
elettronici, che simula magistralmente il sorgere del sole, la luce
del giorno e l'affievolirsi della luce al tramonto mentre si
accendono le luci nelle case. Ogni anno, la sera della vigilia di
Natale, a Pruno di Stazzema, si vive la magia del Natale. Il paese,
incastonato tra stupende montagne, mantiene un impianto urbano
nettamente medioevale, particolarmente evidente nell'arroccamento
centrale a torre, e impreziosito da vecchi edifici che hanno
conservato le antiche architetture, viene illuminato da torce e
popolato da centinaia di persone in costume. Si rivivono i momenti
della nascita di Gesù mentre nelle strette strade di pietra
vengono mostrati i mestieri ormai scomparsi dei secoli passati. Alla
rappresentazione collabora in prima persona l'intera Comunità.
Nel versante massese delle Apuane è assai diffusa la
tradizione degli zampognari che la sera della vigilia di natale
passano di casa in casa, con angeli al seguito, per gli auguri. Una
tradizione che va scomparendo è quella del ponce della vigilia
di Natale. Dopo la cena che tradizionalmente consiste in cavolo nero
lessato e baccalà, la famiglia si riunisce davanti al
caminetto dove arde un bel ciocco per bere il ponce. Un tempo c'era
l'usanza di andare in giro per il paese in gruppi di amici per bere
il ponce nelle rispettive abitazioni. Un bricco di caffè e uno
di latte, e anche una bottiglia di cognac (magari Tre Stelle) e una
di sassolino per il ponce al latte (latte ben calco, alcuni
cucchiaini di sassolino e zucchero) non mancavano.
Le Feste di Natale si concludono con
l´Epifania. La befana (che è corruzione di Epifania,
cioè manifestazione) è nell'immaginario collettivo un
mitico personaggio con l'aspetto da vecchia che porta doni ai bambini
buoni, e carbone a quelli cattivi, la notte tra il 5 e il 6 Gennaio.
La sua origine si perde nella notte dei tempi, discende da tradizioni
magiche precristiane e, nella cultura popolare, si fondo con elementi
folcloristici e cristiani: la befana porta doni in ricordo di quelli
offerti dai magi a Gesù bambino. L'iconografia è fissa:
un gonnelline scuro e ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle,
un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte
consumate, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate e una
scopa di saggina con cui vola, come mezzo di locomozione per volare
sui tetti e gettare doni attraverso il camino, oppure la notte
dell'Epifania scendere fino in casa e lasciare i doni richiesti dai
ragazzi buoni.La sera dopo cena i ragazzi erano soliti mettersi
vicini, vicini, al camino e chiamare la befana con una filastrocca
che diceva così:"o befana, o befana, sei una dama, sei
una sposa tirami qualcosa!". Mentre loro guardavano speranzosi
il buio della canna fumaria i genitori lanciavano manciate di
dolciumi e qualche mandarino, assai raro e apprezzato, sul pavimento.
Potete scommettere qualsiasi cosa che nessun bambino si è mai
accorto che i dolcetti non cadevano dal camino tanta era
l'attenzione. La vigilia della festa i bambini preparavano un
fascetto di fieno per il miccio della befana, in quei giorni era
particolarmente indaffarata e la scopa non era più
sufficiente, lo deponevano vicino al camino e andavano a letto
presto. Le mamme provvedevano allora a sfare il fieno eliminandone un
poco per far credere ai figli che il miccio aveva gradito e
preparavano poi un grosso cesto pieno di befanini e dolcetti vari che
sistemavano vicino ai regali. Il giorno della befana per tutto il
paese era una festa di ragazzini coi loro giocattoli nuovi. E,
purtroppo, anche per il broncio di qualcuno che essendo stato cattivo
aveva ricevuto solo del carbone.
Si rifà al suo apetto la
filastrocca (Befanata) cantata in suo onore: La Befana vien di notte,
con le scarpe tutte rotte, un cappello alla romana, viva viva la
Befana. La sera del 5 gennaio in tutto il comprensorio si svolgono
numerosissime "Befanate", cortei di persone che dietro una
Befana, spesso seguita dal Befano con l´asinello, percorrono le
strade dei paesi, facendo sosta davanti alle case per intonare canti
augurali o sestine satiriche e portare doni ai bambini. A loro volta
i befani ricevono il dono dei caratteristici dolci detti "befanini",
o di offerte da destinare a scopi benefici e umanitari. Nell'ambito
della religiosità popolare l'Epifania rievoca la venuta dei Re
Magi. In alcune località è ancora viva la tradizione
del falò; lo sfondo della festa ha assunto un carattere
religioso propiziatorio legato al culto della madre terra, quasi un
rito di scaramanzia, testimone della paura e dell'amore dei contadini
verso la terra che può essere buona o malvagia.
Da un rogo si traevano auguri e auspici
riguardo il nuovo anno. Dopo aver preparato una pira in mezzo al
campo, sostenuta da grossi pali, vengono su essa accostati fasci di
sterpi, ben pressati poi a forza di piedi per evitare che, dopo l'
accesione, il falò possa provocare danni. La befana ha radici
lontanissime nel tempo e i rituali ad essa legati non hanno mai perso
importanza e in questa tradizione tutti ritrovano il sapore del loro
passato. Una tradizione oramai scomparsa è quella della
gazzarra durante le processioni solenni. Probabilmente, visto che si
maneggiava un buon quantitativo di polvere pirica, hanno contribuito
le difficoltà burocratiche per i permessi. La gazzarra era una
lunga sequenza di scoppi di mortaretti sistemati lungo strade di
periferia che terminava con lo "strepito" , lo scoppio in
rapidissima sequenza di un gran numero di mortaretti che terminava
col gran botto finale dell'apposito mortaretto gigante. La
preparazione dei mortaretti durava ore ed era piuttosto pericolosa;
si iniziava frantumando la polvere pirica venduta in grossi grani, ad
operazione terminata venivano riempiti i mortaretti e tappati
"borati" con stoppacci di carta pressati con martelli di
legno per evitare qualsiasi scintilla (immaginatevi le conseguenze!).
Quando tutti i mortaretti erano caricati venivano trasportati, e
pesavano assai, sul luogo della gazzarra e sistemati stabilmente sul
terreno ad una certa distanza in modo che tra uno scoppio e l'altro
passassero alcuni secondi. Erano uniti tra di loro da uno strascico
di polvere pirica che una volta accesa portava la fiamma lungo tutto
il percorso facendo scoppiare, in sequenza, tutti i mortaretti. Era
gran vanto di tutto il paese una gazzarra ben riuscita, mentre se un
certo numero di mortaretti no scoppiava, o se lo strepito non
riusciva, era motivo di pesante frustrazione. La cerimonia terminava
con le campane che suonavano a festa.
Un'altra tradizione che oramai è
praticamente scomparsa è quella dell'incembolata era una
tradizione diffusa in tutta l'Alta Versilia e oltre; quando due
vedovi si risposavano, ma frequentemente anche quando erano due sposi
novelli, un gruppo di persone munite di barattoli, tamburi,
trombette, coperchi e qualunque attrezzo utile a fare baccano, si
riunivano sotto le finestre dei malcapitati quando stavano riposando.
Iniziavano a fare un gran fracasso e periodicamente cantavano brevi
composizioni estemporanee dirette agli sposi (strambotti). Il
fracasso naturalmente attirava altra gente e il gruppo aumentava; e
se i malcapitati sposini non uscivano ad offrire da bere la festa si
ripeteva anche la sera successiva. Stavolta però il gruppo e
il fracasso aumentavano e il tutto durava fino a tarda ora. Se non
uscivano ancora l'incembolata si ripeteva per la terza sera, più
rumorosa, numerosa e lunga che mai. Dopo la terza sera, anche se gli
sposi non uscivano ad offrire da bere, la festa si concludeva
comunque.
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