Credenze popolari

Il susseguirsi degli eventi, da tempi immemorabili fino ai giorni nostri, nel comprensorio apuano hanno profondamente influito sulla formazione della cultura popolare, e il relativo isolamento delle vallate ha certamente contribuito al mantenimento delle peculiarità dialettali. Dialetti così diversi, anche in paesi assai vicini, da risultare spesso reciprocamente quasi incomprensibili. Le tradizioni e leggende popolari, seppure ampiamente inserite nel contesto cristiano, mostrano chiaramente il retaggio di influenze pagane, con numerose superstizioni ancora radicate soprattutto tra gli abitanti autoctoni. Un classico esempio è rappresentato dal Canale dell’Inferno, sulla Pania: un luogo assolutamente da evitare dall’imbrunire in poi perché vi si riunirebbero le streghe per celebrare i loro riti di cui si vedrebbero i lumi. Il canale sarebbe infestato, sempre di notte ovviamente perché di giorno è una difficile ma bella via di salita alla vetta, da strani animali e addirittura spettri terrificanti. Certo è che le incisioni rupestri, praticate in tempi remoti, sugli ampi lastroni della zona non tranquillizzano i superstiziosi soprattutto quando rappresentano roncole, simboli sacri e figure misteriose. Molte in realtà sono segni che risultano modificati nel tempo, molti altri sono appena percettibili alla luce dell’alba e del tramonto, per cui non sempre la loro lettura è facile. Di particolare valore semantico sono però le “coppelle”: incisioni particolarissime, incavi scavati nella roccia, di forma rotonda o rotondeggiante di profondità variabile,con sezione conica, ellittica o circolare.

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Si suppone incise con un’altra pietra più dura; hanno richiesto certamente determinazione e lunghissimi tempi di lavorazione anche perché le rocce sono dure e resistenti. Spesso collegate a canalette e spesso a gruppi, punteggiano rocce o spezzoni di roccia lisci suggestivi per posizione e forma.

Se è possibile dare una spiegazione funzionale per una incisione a coppella, lo è meno per una serie di incisioni: una roccia a coppelle assume un’identità particolare. E’ indubbio che le prime coppelle ci giungono dalla preistoria; ma la pratica di segnare alcune rocce con le coppelle arriva fino al medioevo. In taluni luoghi ha resistito a lungo l’usanza di mettere nei fori fiori a scopo propiziatorio.Le rocce a coppelle appaiono volutamente rispettate, non sono mai state intaccate con altre incisioni che al massimo le lambiscono, probabilmente perché in esse veniva avvertita una sorta di sacralità e mistero: sacralità pagana della pietra. Probabili espressioni religiose richiamandosi al concetto di animiamo delle popolazioni primitive, come anche al concetto di luoghi di culto all’aperto dei Celti e dei Germani. Altre interpretazioni: mappe stellari, indicazioni di luoghi abitati, corsi d’acqua; persino simboli femminili legati al culto della fecondità. Ipotesi suggestive che portano con sé molti altri interrogativi. Un esempio significativo del rispetto tributato alle rocce con coppelle la troviamo all’ombra del Sumbra , a Capanne di Careggine dove si trova una roccia ornata di una serie di coppelle. La roccia ha servito alla costruzione delle case dell'antico borgo: appare liscia nella zona della coppellazione, scagliata e segnata con segni di fioretto attorno. Le case dovevano essere costruite ma le coppelle dovevano essere rispettate. Sotto la Pania si trova invece la cosiddetta “roccia del sole” ornata di segni solari. Alla luce radente del tramonto primaverile i soli si annunciano con precisione, in numero e grandezza tali da chiarire subito l’importanza della roccia: dedicata al sole, la roccia del sole appunto. Probabilmente oggetto di culto pagano o residuo di culti pagani.

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 E’ interessante notare come alcuni dischi appaiono totalmente coincidenti con altri incisi in Val di Lanzo. La storia dice che in quelle valli l’humus appaia gallico-ligure e che d’altra parte nelle nostre zone ci siano stati insediamenti liguri e celto-liguri. Altrettanto significative sono le numerose incisioni raffigurante lame pennate. La parola pennato è attestata nella lingua italiana dal 1200

e i pennati vengono considerati della stessa famiglia di falcetti, ronche, roncole; famiglia così antica da ritrovarne esempi non solo nell’età del ferro, ma in quella del bronzo e della pietra .Strumenti da sempre collegati a forti simbolismi: la falce di Saturno, il falcetto d’oro con cui i Druidi avrebbero tagliato il vischio, ne danno un esempio sommario. Iconografie antichissime li presentano come armi e li pongono in mano a guerrieri. L’immagine di guerrieri Apuani a consesso sulle pendici della Pania Secca è indubbiamente molto suggestiva, le genti Apuane subirono prima la pressione dei Galli, quindi quella di Roma. Tra Liguri Apuani e Roma vi fu una guerriglia leggendaria, durata quasi cento anni e conclusasi nelle gole della Valle del Serchio. Da queste gole gli Apuani conducevano razzie nelle valli e mitici assalti contro i nemici romani che dovettero attendere il 180 d.C. per averne ragione. Le lame incise sulla roccia potevano essere armi? Non è certo ma assai probabile, sicuramente è impossibile liquidarle come semplice passatempo dei pastori.

Superstizioni che sarebbe logico ritenere relegate nei ricordi sono invece ancora presenti tant'è che alcuni anni orsono si scatenò un'accanita caccia al "Buffardello", un folletto dispettoso ma buono che qualcuno asseriva di aver notato aggirarsi per le strade di un paesello. Chiamato anche Baffardello viene spesso identificato col folletto della tradizione lucchese, il Linchetto, anche se ne distingue per alcune caratteristiche. E' un vecchietto di piccola statura, dalla barba bianca, vestito di rosso che si presenta agli umani come un animale selvatico, un uccello notturno ma molto più frequentemente come un mulinello di vento che scompiglia tutto. Il regno del Buffardello è la notte quando penetra nei casolari e intreccia inestricabilmente le code di cavalli e vacche, oppure toglie ogni notte il fieno ad una bestia per darlo ad un'altra, fino a far deperire la prima, oppure beve il latte delle mucche e il vino delle cantine. Nelle case invece nasconde gli oggetti, ingarbuglia la lana da tessere; ma è in camera da letto che diventa veramente dispettoso: tira le coperte, scopre e fa il solletico ai dormienti; fa dispetti ai giovani sposi, disturbando la loro intimità.

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Alle vecchie che dormono siede sul petto rendendo difficoltoso il respiro (un'arcaica spiegazione dell'asma?), e la sua risata sarcastica risuona fino all'alba. In Garfagnana la tradizione del Buffardello è molto radicata tant'è che alcuni usano ancora oggi apostrofare chi si presenta con la pettinatura arruffata con la frase: sembra che ti abbia pettinato il Baffardello! I rimedi per liberarsi del Buffardello sono due: appendere alla porta di casa un rametto di ginepro con molte bacche o disseminare la camera da letto di scodelle piene di farro o fagioli. Il Buffardello per una strana malia sarà costretto a contare le foglioline di ginepro o i chicchi che inevitabilmente avrà versato sul pavimento, ma scapperà subito via indispettito perché non sa contare. Nei casi disperati si dovrà mangiare una fetta di polenta e formaggio seduti in bagno facendo i propri bisogni, Il Buffardello schifato fuggirà e non si farà più vedere. Leggende popolari riguardano anche la presenza di animali di derivazione mitologica sulle nostre montagne tant'è che nel 1989 qualcuno segnalò a più riprese la presenza di un drago che, sputando fuoco, aveva fuso le canne del fucile a un cacciatore che cercava di colpirlo. Ovviamente tutti davano per certe queste notizie, ma sempre per sentito dire, e mai fornendo testimonianze dirette. Da riallacciare alle antiche storie sull'esistenza dell'"Uomo Selvatico", essere primitivo dall'indole mite che insegnava il mestiere ai pastori e ai contadini, sono i ripetuti avvistamenti della metà degli anni 70 di un essere vestito di pelli che si aggirava tra i boschi. Nessuno riuscì mai ad incontrarlo ma dato che si rifugiava spesso in capanne abbandonate numerose sono le tracce che lasciava. Uno squilibrato, un ricercato in fuga o qualcuno che voleva mettere alla prova le sue doti dopo aver frequentato un corso di sopravvivenza? Non lo sapremo mai.

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L'uomo selvatico, chiamato anche uomo dei boschi, era descritto come un uomo robusto con folta capigliatura, barba incolta, statura elevata, ricoperto di peli, in più occasioni armato di un grosso bastone. Veniva descritto come un essere maldestro, un po' goffo ma nello stesso tempo capace di imprese dove erano necessari una notevole agilità ed una forza considerevole. Era considerato il primo abitante della montagna e maestro dell'arte casearia.La tradizione dell'uomo selvatico è legata alla vita degli alpigiani, la sua area di influenza coincide approssimativamente con la zona di influsso celtico: si racconta che sia proprio l'uomo selvatico il maestro dell'arte casearia che si diverte a tirare brutti scherzi agli alpigiani. L'uomo selvatico abitava in grotte o in ripari sottoroccia, spesso inaccessibili all'uomo civile; sulle nostre montagne la leggenda vuole che abitasse le pendici del Corchia dove esiste una grotta chiamata appunto "tana (o buca) dell'uomo selvatico".

Antiche superstizioni sono alla radice di una pratica tutt'oggi ancora assai seguita: la pratica della segnatura. Con questa pratica si curano il malocchio e varie situazioni di malessere, quali la cefalea, il mal di denti, Il fuoco di S. Antonio e soprattutto i porri, escrescenze cutanee che si formano sul dorso delle mani. A praticarla sono generalmente donne anziane che si dicono dotate di poteri soprannaturali; è composta da una parte gestuale, che consiste nel tracciare con le mani o con un talismano particolari segni sulle parti malate, e da una contemporanea parte verbale costituita dalla recitazione di formule magiche. All'aspetto pagano della segnatura, si unisce quello cristiano del segno della croce e da preghiere. Per malocchio s'intende la capacità di procurare, volontariamente o involontariamente, danni di varia entità a cose o persone attraverso una sorta di "energia negativa", energia che viene gettata attraverso lo sguardo, da cui la parola malocchio. L'origine della superstizione legata al malocchio sembra perdersi nell'antichità; già nell'Antico Testamento se ne fa menzione, così come nella cultura romana in cui il tema del fascinum (così chiamavano il malocchio) era universalmente diffuso. Dalle antiche tradizioni trae origine lo spettacolo del "Maggio", diffuso un tempo ovunque, oggi sopravvive solo in alcuni luoghi grazie all'impegno profuso da alcuni studiosi ed appassionati per salvare alcuni degli aspetti più caratteristici della cultura popolare. Si tratta dell'evocazione delle gesta dei paladini attraverso la recitazione cantata di composizioni poetiche spesso create dagli stessi attori improvvisati. Trae certamente origine dagli antichi riti agresti celebrati in primavera allo scopo di propiziare la fertilità del territorio, l'inizio dello spettacolo con l'ingresso processuale dei maggianti ne è la traccia più evidente. Un tempo rappresentava la lotta tra inverno e primavera ma attualmente i contenuti si sono storicizzati e la lotta è tra turchi e cristiani o tra ricchi e poveri, anche se rappresenta comunque sempre, l'eterna lotta tra il bene e il male con la scontata vittoria del bene. Il "maggio garfagnino" è l'unico a non essere contaminato dal teatro colto conservando tutti gli elementi di arcaicità.

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Si celebra all'aperto nelle piazze dei paesi o in radure nei boschi, senza scenografia, con solo due arredi per simboleggiare le due corti: i buoni e i cattivi. Il pubblico generalmente si dispone tutto intorno ai maggianti. I costumi, quasi sempre gli stessi qualunque sia la vicenda narrata, sono generalmente realizzati dai maggianti stessi e si limitano all'essenziale; generalmente vengono indossati su abiti normali.

Ricchi di colori e di lustrini, sono costituiti da spade finte, elmi con cimiero, corone di latta. Lo spettacolo è tutto cantato e accompagnato dalla fisarmonica, dal violino o dalla chitarra, o anche da tutti questi strumenti insieme; il linguaggio è quello proprio dei poemi cavallereschi del Rinascimento. Il Maggio rivive oggi come una delle tradizioni più diffuse nell'a Garfagnana e nella vicina Lunigiana e nel massese. Tra le manifestazioni religiose in costume sono degne di menzione le rappresentazioni della Passione di Cristo che si svolgono lungo le strade dei paesi ai lati delle quali vengono allestite le scenografie. La tradizione medievale delle sacre rappresentazioni della Passione di Cristo,rivive in alcuni centri del comprensorio Apuano.

Gli attori sono sempre impersonati dai paesani vestiti con costumo che riproduco gli abiti dell'epoca; vengono allestiti gruppi scenografici della Via Crucis, che fanno da sfondo alla lettura e meditazione del dramma della Passione. Durante il percorso vengono rappresentate scene della passione, la manifestazione si conclude con la crocefissione che solitamente avviene su un colle o nei pressi di un eremo. La particolarità di queste manifestazioni consiste nel fatto che spesso Cristo è impersonato da un vero penitente che procede sotto il peso della croce. via_crucis.jpgLa Via Crucis è una devozione popolare nata a Gerusalemme, con l´intento di proporre alla meditazione gli eventi drammatici della Passione di Cristo . I pellegrini della Città Santa potevano ripercorrere il cammino doloroso del Redentore sostando in quattordici tappe dette stazioni. A partire dal XV secolo tale rito fu introdotto anche in occidente ad opera dei Francescani; uno dei maggiori apostoli della sua diffusione fu San Leonardo da Porto Maurizio, che agli inizi del Settecento predicò anche in Lucchesia.

In tempo di Pasqua le chiese di Lunigiana, anche quelle isolate di montagna, preparano i "sepolcri" del giovedì santo: altari adorni di vasi di granaglie cresciute al buio. I più eleganti, ricchi di damaschi, ori e argenti si possono trovare nelle chiese di Pontremoli al seguito dei confratelli della Misericordia, vestiti con rigorosa cappa nera. E' tradizione antica anche allestire il Presepe animato in occasione del Natale per ricordare la nascita di Gesù. Col trascorrere degli anni è maturata una grande passione per i presepi e per l'arte di creare scene quanto più curate possibile riguardo al mistero avvenuto 2000 anni fa.

Gruppi di volontari, ma spesso interi paesi, realizzano personalmente gli elementi scenografici gli oggetti principali: la grotta, le case dei popolani, le figurine di alcuni personaggi e la costruzione di alcune scenografie può richiedere tempo, oltre al tradizionale periodo natalizio, fino a diventare l'impegno di tutto un anno. Le statuine si muovono indipendentemente, spesso azionate da un unico motore elettrico collegato alle statuine con centinaia di pulegge e cinghie. presepio.jpgIl presepe richiede una continua ed attenta manutenzione e ogni anno vengono apportate piccole modifiche e migliorie. Non manca un complesso impianto idraulico che alimenta fiumi e laghetti, il tutto sapientemente illuminato dall' effetto giorno e notte, sempre più spesso gestito da congegni elettronici, che simula magistralmente il sorgere del sole, la luce del giorno e l'affievolirsi della luce al tramonto mentre si accendono le luci nelle case. Ogni anno, la sera della vigilia di Natale, a Pruno di Stazzema, si vive la magia del Natale. Il paese, incastonato tra stupende montagne, mantiene un impianto urbano nettamente medioevale, particolarmente evidente nell'arroccamento centrale a torre, e impreziosito da vecchi edifici che hanno conservato le antiche architetture, viene illuminato da torce e popolato da centinaia di persone in costume. Si rivivono i momenti della nascita di Gesù mentre nelle strette strade di pietra vengono mostrati i mestieri ormai scomparsi dei secoli passati. Alla rappresentazione collabora in prima persona l'intera Comunità. Nel versante massese delle Apuane è assai diffusa la tradizione degli zampognari che la sera della vigilia di natale passano di casa in casa, con angeli al seguito, per gli auguri. Una tradizione che va scomparendo è quella del ponce della vigilia di Natale. Dopo la cena che tradizionalmente consiste in cavolo nero lessato e baccalà, la famiglia si riunisce davanti al caminetto dove arde un bel ciocco per bere il ponce. Un tempo c'era l'usanza di andare in giro per il paese in gruppi di amici per bere il ponce nelle rispettive abitazioni. Un bricco di caffè e uno di latte, e anche una bottiglia di cognac (magari Tre Stelle) e una di sassolino per il ponce al latte (latte ben calco, alcuni cucchiaini di sassolino e zucchero) non mancavano.

Le Feste di Natale si concludono con l´Epifania. La befana (che è corruzione di Epifania, cioè manifestazione) è nell'immaginario collettivo un mitico personaggio con l'aspetto da vecchia che porta doni ai bambini buoni, e carbone a quelli cattivi, la notte tra il 5 e il 6 Gennaio. credenzebefana.jpgLa sua origine si perde nella notte dei tempi, discende da tradizioni magiche precristiane e, nella cultura popolare, si fondo con elementi folcloristici e cristiani: la befana porta doni in ricordo di quelli offerti dai magi a Gesù bambino. L'iconografia è fissa: un gonnelline scuro e ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consumate, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate e una scopa di saggina con cui vola, come mezzo di locomozione per volare sui tetti e gettare doni attraverso il camino, oppure la notte dell'Epifania scendere fino in casa e lasciare i doni richiesti dai ragazzi buoni.La sera dopo cena i ragazzi erano soliti mettersi vicini, vicini, al camino e chiamare la befana con una filastrocca che diceva così:"o befana, o befana, sei una dama, sei una sposa tirami qualcosa!". Mentre loro guardavano speranzosi il buio della canna fumaria i genitori lanciavano manciate di dolciumi e qualche mandarino, assai raro e apprezzato, sul pavimento. Potete scommettere qualsiasi cosa che nessun bambino si è mai accorto che i dolcetti non cadevano dal camino tanta era l'attenzione. La vigilia della festa i bambini preparavano un fascetto di fieno per il miccio della befana, in quei giorni era particolarmente indaffarata e la scopa non era più sufficiente, lo deponevano vicino al camino e andavano a letto presto. Le mamme provvedevano allora a sfare il fieno eliminandone un poco per far credere ai figli che il miccio aveva gradito e preparavano poi un grosso cesto pieno di befanini e dolcetti vari che sistemavano vicino ai regali. Il giorno della befana per tutto il paese era una festa di ragazzini coi loro giocattoli nuovi. E, purtroppo, anche per il broncio di qualcuno che essendo stato cattivo aveva ricevuto solo del carbone.

Si rifà al suo apetto la filastrocca (Befanata) cantata in suo onore: La Befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte, un cappello alla romana, viva viva la Befana. La sera del 5 gennaio in tutto il comprensorio si svolgono numerosissime "Befanate", cortei di persone che dietro una Befana, spesso seguita dal Befano con l´asinello, percorrono le strade dei paesi, facendo sosta davanti alle case per intonare canti augurali o sestine satiriche e portare doni ai bambini. A loro volta i befani ricevono il dono dei caratteristici dolci detti "befanini", o di offerte da destinare a scopi benefici e umanitari. Nell'ambito della religiosità popolare l'Epifania rievoca la venuta dei Re Magi. In alcune località è ancora viva la tradizione del falò; lo sfondo della festa ha assunto un carattere religioso propiziatorio legato al culto della madre terra, quasi un rito di scaramanzia, testimone della paura e dell'amore dei contadini verso la terra che può essere buona o malvagia.

Da un rogo si traevano auguri e auspici riguardo il nuovo anno. Dopo aver preparato una pira in mezzo al campo, sostenuta da grossi pali, vengono su essa accostati fasci di sterpi, ben pressati poi a forza di piedi per evitare che, dopo l' accesione, il falò possa provocare danni. La befana ha radici lontanissime nel tempo e i rituali ad essa legati non hanno mai perso importanza e in questa tradizione tutti ritrovano il sapore del loro passato. Una tradizione oramai scomparsa è quella della gazzarra durante le processioni solenni. Probabilmente, visto che si maneggiava un buon quantitativo di polvere pirica, hanno contribuito le difficoltà burocratiche per i permessi. La gazzarra era una lunga sequenza di scoppi di mortaretti sistemati lungo strade di periferia che terminava con lo "strepito" , lo scoppio in rapidissima sequenza di un gran numero di mortaretti che terminava col gran botto finale dell'apposito mortaretto gigante. La preparazione dei mortaretti durava ore ed era piuttosto pericolosa; si iniziava frantumando la polvere pirica venduta in grossi grani, ad operazione terminata venivano riempiti i mortaretti e tappati "borati" con stoppacci di carta pressati con martelli di legno per evitare qualsiasi scintilla (immaginatevi le conseguenze!). Quando tutti i mortaretti erano caricati venivano trasportati, e pesavano assai, sul luogo della gazzarra e sistemati stabilmente sul terreno ad una certa distanza in modo che tra uno scoppio e l'altro passassero alcuni secondi. Erano uniti tra di loro da uno strascico di polvere pirica che una volta accesa portava la fiamma lungo tutto il percorso facendo scoppiare, in sequenza, tutti i mortaretti. Era gran vanto di tutto il paese una gazzarra ben riuscita, mentre se un certo numero di mortaretti no scoppiava, o se lo strepito non riusciva, era motivo di pesante frustrazione. La cerimonia terminava con le campane che suonavano a festa.

Un'altra tradizione che oramai è praticamente scomparsa è quella dell'incembolata era una tradizione diffusa in tutta l'Alta Versilia e oltre; quando due vedovi si risposavano, ma frequentemente anche quando erano due sposi novelli, un gruppo di persone munite di barattoli, tamburi, trombette, coperchi e qualunque attrezzo utile a fare baccano, si riunivano sotto le finestre dei malcapitati quando stavano riposando. Iniziavano a fare un gran fracasso e periodicamente cantavano brevi composizioni estemporanee dirette agli sposi (strambotti). Il fracasso naturalmente attirava altra gente e il gruppo aumentava; e se i malcapitati sposini non uscivano ad offrire da bere la festa si ripeteva anche la sera successiva. Stavolta però il gruppo e il fracasso aumentavano e il tutto durava fino a tarda ora. Se non uscivano ancora l'incembolata si ripeteva per la terza sera, più rumorosa, numerosa e lunga che mai. Dopo la terza sera, anche se gli sposi non uscivano ad offrire da bere, la festa si concludeva comunque.