Il Cinquecento

L’importanza delle miniere di Fornovolasco, la cui notorietà all’epoca superava di gran lunga l’ambito locale, è testimoniata dalla citazione, nel 1528, in un’opera del celebre poeta Ludovico Ariosto, per un certo periodo governatore della Garfagnana.

Lo scoglio ove il sospetto fa soggiorno, Alto dal mare da seicento braccia, Di ruinose balze cinto intorno, E da ogni parte di cader minaccia: Il più stretto sentier che guida al Forno,

Là dove il Grafagnin il ferro caccia.

Successivamente Fornovolasco perse importanza e pur conservando sempre un certo livello di produzione, intorno alla metà del Cinquecento perse il ruolo di principale centro siderurgico estense a vantaggio di Isola Santa, località situata lungo la Turrite Secca, sempre in Garfagnana. Tale polo era costituito da un altoforno e da tre fabbriche site in Isola Santa, Bovaio e Castelnuovo Garfagnana; riforniva anche altre 5 fabbriche poste una in territorio di Vergemoli e le altre sul versante emiliano dell’Appennino, due a Roccapelago e due a Fontanaluccia.

Questo nuovo ambizioso progetto siderurgico pose il problema di assicurare un sufficiente flusso di carbone da legna e soprattutto di minerale ferroso; da una parte vennero stretti nuovi accordi con i signori di Piombino per la fornitura di “vena” dell’Elba e con i Medici per il transito dei carichi attraverso Pietrasanta; dall’altra furono intensificate la ricerca e lo sfruttamento dei filoni garfagnini, tra cui quelli di Fornovolasco. Nel 1548 furono assunti nuovi provetti maestri di miniera nelle figure di Marco del fu Giovanni de Malinversi e Martino del fu Giovanni de Tabazo, entrambi di Bovegno in Val Trompia.

Nel 1553 “l’appalto di cavar vena del Forno Volasco” venne dato al maestro bresciano Antonio “Sordello” del fu Giovanni Biscioni da Vestone; sempre in quegli anni e precisamente nel 1555-56 a Fornovolasco era funzionante un forno di fusione.