Settecento

Per determinazione del duca Rinaldo d’Este, dopo 55 anni di inattività, il forno di Trombacco fu rimesso in funzione. Il teatino P. Giovanni Francesco Peyre, valente geologo inviato nel 1699 come soprintendente ducale alle miniere, dopo una sistematica ricognizione confermò la scelta dei filoni metalliferi di Fornovolasco, prese il possesso degli edifici di Trombacco, li fece restaurare ed ammodernare, rendendo le strade agibili per i traini o tregge (veicoli rustici senza ruote trascinati da animali); affittò inoltre tre ferriere, quella di Papini a Fornovolasco, quella di Paolo Guerri a Fabbriche di Vallico e quella comunale a Vallico di Sotto. Nel biennio 1699-1700 il forno tornò ad un’intensa e proficua attività, grazie anche ad un’importante innovazione tecnica introdotta anche a Fornovolasco: la tromba idro-eolica, che sostituì gli scomodi, costosi e deperibili mantici, consentendo di raggiungere temperature più elevate, migliorare il processo di fusione ed innalzare il rendimento del metallo.

Ammalatosi il Peyre nell’ottobre del 1701, subentrò con pari o maggiore maestria il carpigiano Domenico Corradi d’Austria che resse la carica fino al 1720. Dapprima egli completò e migliorò il forno e la fabbrica perfezionando il cannecchio, la soffieria ed il maglio; poi vi aggiunse un distendino, due carbonili, un’abitazione per gli ufficiali ed un oratorio, quindi intensificò l’attività estrattiva. Organizzò un efficiente sistema di lavorazione con due stagioni l’anno di fusione a ciclo continuo, di circa quattro mesi ciascuna, sfornando ghisa in gran quantità che fu distribuita alle varie ferriere. A causa della paventata penuria di carbone in Garfagnana, fu costruita una nuova ferriera sull’Appennino Modenese lungo il torrente Dragone al Lago di Medola. Nel 1709 rinunciò all’affitto delle ferriere di Vallico e Fabbriche; da quel momento la lavorazione del ferraccio si concentra sulle ferriere di Trombacco, Fornovolasco e Campolemisi (entrambe della famiglia Papini), ma soprattutto di Lago di Medola.

L’attività cessò nel 1720, non a causa di particolari problemi di conduzione, ma per il progressivo esaurimento delle materie essenziali, minerale e legna.

In quegli anni di così intensa attività arrivò a Fornovolasco un’altra grande innovazione, che rese le operazioni estrattive più agevoli ed economiche: l’utilizzo delle mine per l’abbattimento della roccia. Addirittura in un’opera di ricerca storica mineraria del periodo fascista si sostiene che “in Italia la prima applicazione delle mine a polvere nera per perforare le cave sotterranee si ha a Fornovolasco in Garfagnana nel 1702 su iniziativa del soprintendente Corradi”. In realtà l’affermazione è palesemente non veritiera, considerato ormai per assodato che il primo utilizzo della polvere nera in campo minerario fu effettuato da Giovanni Battista Martinengo nel 1574 a Schio.

Un contributo importante alla conoscenza della zona di Fornovolasco arrivò da Antonio Vallisneri, originario di Trassilico, noto scienziato, naturalista, medico, professore ordinario all’Università di Padova; questi fece diversi viaggi lungo le montagne apuane ed appenniniche, studiando e divulgando le conoscenze che acquisiva nel visitare tali zone; in uno di questi viaggi nel 1704 visitò le miniere di ferro ed una grotta, la Tana che Urla, dal quale trasse molte delle convinzioni che lo portarono ad elaborare il celebre trattato “Lezione accademica sull’origine delle Fontane”. La descrizione effettuata di Fornovolasco e delle sue genti non è forse troppo benevola, tuttavia ci fornisce alcuni notizie utili, in particolare che le miniere di Fornovolasco, in quel periodo,  cominciarono ad essere utilizzate per l’estrazione del vetriolo. Proprio l’estrazione del vetriolo dovette rappresentare un importante utilizzo alternativo: esso veniva estratto, depurato sempre a Fornovolasco, poi dal governo di Modena spedito a Venezia e scambiato con il sale marino. Pertanto, nonostante la chiusura del forno di Trombacco nel 1720, rimase comunque in attività la ferriera dei Papini a Fornovolasco; grazie anche al mercato del vetriolo ed alle modeste richieste provenienti da ferriere site in territori limitrofi, nelle miniere continuò una certa attività per alcuni decenni, seppur notevolmente ridimensionata rispetto agli inizi di quel secolo.

Ferriera operante nel settecento, recentemente recuperata e ristrutturata dalla famiglia Vichi –  Foto Buffardello Team Distendino lungo il Canale del Battiferro – Foto Buffardello Team