Manufatti montani
Il progetto è localizzato nell’intero bacino del torrente Turrite di Gallicano e si pone gli obbiettivi di ricercare, censire, posizionare su carta topografica tutti quei manufatti che testimonino la presenza della fede e del lavoro dell’uomo in zone montane nei secoli passati, esclusi quelli già interessati da altri progetti specifici (lavorazione del ferro e della castagna).
In particolare ci riferiamo ai manufatti di carattere religioso come le Maestà e le Immaginette presenti sulle antiche vie di comunicazione ( sentieri, mulattiere e gruppi di abitazioni montane ) e a quelli della produzione a livello locale della calce ( pozzi a calce).
Il Progetto si articola sulle fasi:
KNOW - acquisizione delle conoscenze:
- ricerca in archivi storici, comunali, parrocchiali
- consultazione di pubblicazioni storiche vecchie e recenti
- intervista ad anziani abitanti del paese
- ricerca sul campo
TEACH - divulgazione delle conoscenze
- Realizzazione sito internet
- Pubblicazione finale dei risultati del progetto
- Ricercare la possibilità di un restauro dei manufatti più interessanti
- Realizzazione di percorsi escursionistico-culturali
Maestaine
La consuetudine di erigere edicole o maestaine ( in gergo popolare mestaine o immaginette) era già diffusa in epoca pagana. I luoghi prescelti erano gli incroci delle strade. In quel tempo gli "angoli" erano intuiti come posti misteriosi e in essi si pensava vi fossero le divinità. Accanto al motivo di culto ve ne era sempre uno più pratico e cioè quello di indicare la strada a chi la percorresse, visto che non esistevano cartelli indicatori come oggi. Le maestaine erano anche costruite intorno ad una proprietà terriera, ad un territorio di un paese o ad una zona più vasta e servivano, oltre che da protezione religiosa, ad indicarne e delimitarne i confini. Già in epoca romana queste maestà si visitavano a scadenze fisse, sia a scopo protettivo ( apotropaico ) di prevenzione contro le sventure, sia a scopo ricognitivo dei confini; queste processioni si chiamavano rogationes. Tale consuetudine fu ripresa dalla religione cristiana. Le rogazioni si tenevano in primavera in corrispondenza del risveglio delle colture. Servivano per chiedere la grazia a Dio e alla Madonna per un abbondante raccolto e per la protezione dalla fame, dalle malattie e dalle guerre.
Maestaina del Brillo Gallicano
Altri luoghi dove venivano costruite le maestaine erano i dossi, le sommità, le rupi o presso ponti e torrenti, tutti luoghi sentiti come sacri e dove era più necessario essere protetti dai pericoli che potevano rappresentare. Si collocavano maestà anche a scopo di esorcismo in prossimità di incroci di strade, valichi e altri luoghi considerati dalla superstizione popolare punti di raduno e incontro di streghe, diavoli e esseri malvagi. Altri segni a scopo apotropaico sono costituiti dai cosiddetti Orifiamma ( o monogrammi di S.Bernardino) che di solito venivano scolpiti o incisi nella chiave di volta delle antiche porte degli edifici. Il simbolo J.H.S significa Jesus Homines Salvatoris e cioè Gesù Salvatore degli Uomini. Il culto al nome di Gesù fu introdotto e proposto da S.Bernardino da Siena, un francescano del 1400, poi ripreso e continuato da S.Leonardo da Porto Maurizio nel 1700. Quest’ultimo ebbe modo di predicare anche a Gallicano, vicaria della repubblica di Lucca,nel 1751, ultimo anno della sua vita. Dopo la sua venuta, molte persone per benedizione fecero fare sulla porta di casa il segno del nome di Gesù. In passato la maggior parte delle maestaine erano erette da comunità civili o religiose. Oggi molti privati hanno mantenuto questa consuetudine costruendo maestaine sulla facciata della casa o nel giardino, a scopo protettivo e come segno di devozione.
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Orifiamma su portale
Via Castello Gallicano
MAESTAINE ED IMMAGINI SACRE DI FORNOVOLASCO E SAN PELLEGRINETTO
Pozzi a calce
La calce
La produzione di calce è vecchia di circa 4.000 anni: si hanno testimonianze del suo uso tanto nell'antico Egitto che in Mesopotamia.
Il sistema più primitivo consisteva nello scavare una fossa profonda circa 70 cm, disponendo al suo interno, foderato di pietre, il combustibile e la pietra calcarea. La cottura andava avanti per settimane, e, una volta terminata, il pozzo veniva svuotato della calce viva.
Era una tecnica che permetteva la produzione di un limitato quantitativo di materiale.
La calce è oggi prodotta industrialmente ma in passato, per rispondere ai bisogni immediati delle popolazioni rurali, era sufficiente una produzione artigianale, erede di conoscenze ancestrali, con una tecnica molto simile tra luoghi anche molto lontani tra di loro..
Nei Pirenei la materia prima, il calcare, era abbondante. I forni da calce erano scavati in terreni a forte pendenza in modo da evitare la costruzione di muri di protezione. |
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Un tipico forno era diviso in due parti: il focolare e la parte alta, delimitata da una sporgenza che permetteva di appoggiarvi la volta, costituita da pietre da calcinazione. |
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Una volta finito il terrazzamento, per evitare la dispersione del calore, si applicava sulle pareti del forno uno strato di argilla.Le pietre calcaree erano quindi raccolte e si cominciava il caricamento del forno. |
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il ricoprimento del forno era un lavoro delicato e perfino pericoloso per l’esecutore in quanto consisteva nel posare le pietre calcaree da cuocere in equilibrio, senza legante, in modo da costruire una volta sopra la zona del focolare. |
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Completata la volta, si riempiva il forno in modo da permettere alla fiamma di passare attraverso più strati di pietre in modo omogeneo. |
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L’entrata per alimentare il forno con il combustibile si trovava nella parte bassa |
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Il riempimento del forno era completato posando uno strato di pietre al suolo, per evitare la dispersione del calore durante la cottura. |
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Il forno era alimentato da fascine di legno secco di cespugli spinosi o di bosso, dotate di alto potere calorifico.La calcinazione durava tre giorni e tre notti; durante questo periodo gli operai si alternavano per mantenere costante la temperatura a 1000 gradi centigradi. |
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Per effetto della calcinazione il calcare o carbonato di calcio (CaCO3) si trasforma in calce viva o ossido di calcio (CaO) sviluppando anidride carbonica:CaCO3 - CO2 = CaO |
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Le pietre, dopo la cottura, venivano selezionate e quindi conservate in recipienti al riparo dell’aria per evitarne la carbonatazione, che avrebbe tolto alla calce le sue proprietà leganti. |
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In seguito la calce viva era spenta immergendola in una quantità d’acqua pari alla metà del suo peso. |
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L’idratazione provoca la disintegrazione rapida delle pietre e produce una forte emissione di calore. |
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La polvere che si ottiene secondo la reazione: CaO + H2O = Ca(OH)2
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La calce prodotta doveva essere conservata in luogo secco, chiusa in recipienti o sacchi ermetici; essa serviva per soddisfare le esigenze di un villaggio intero.
Immagini dal documentario: :
"Piccoli mestieri nei Pirenei spagnoli", Pyrene PV, Planète.
Metati
La coltivazione del castagno da frutto in Garfagnana, risale presumibilmente al mille, quando anche qui, come in molte altre zone d’Italia, si ebbe una decisa svolta nell’economia con la messa a frutto delle aree cosiddette incolte per far fronte ad un sempre crescente incremento demografico. Non che mancassero i castagneti nella lucchesia altomedievale, ma la loro presenza era considerata secondaria ed il consumo di castagne marginale rispetto ad altri alimenti più diffusi.
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La carbonaia
La carbonaia
I monti e i boschi della Garfagnana sono punteggiati da piccoli spazi piani con la base formata da un impasto nerastro e i bordi da muretti in pietra.
Sono le piazzole delle vecchie carbonaie.
Fino a qualche decennio fa, soprattutto nelle città, il combustibile per gli usi domestici era il carbone.
In passato il carbone era anche l’energia termica usata nelle ferriere e nei forni di fusione dei metalli, per questo se ne producevano grandi quantità nei pressi degli impianti di trasformazione, creando spesso delle vere e proprie crisi di disponibilità di legname.
Ad esempio il Duca Estense proibì l’uso di legna per i bisogni domestici,in favore di quello per le sue ferriere di Fornovolasco, creando evidenti scontenti nella popolazione.
La carbonaia, dovrebbe risalire già all'epoca preistorica; è accertata la sua esistenza dal profilo archeologico sulle pendici meridionali del Giura, in relazione alla lavorazione celtica del Ferro.
Fornace all'aperto per la produzione artigianale di carbone mediante carbonizzazione della legna. Intorno a un foro centrale si accatasta, disponendola a cono, una grande quantità di legna secca (faggio, carpino, cerro, in pezzi di ca. 1 m), che, ricoperta con una coltre di rami e terra argillosa, grazie a un'aerazione solo parziale, è sottoposta a combustione incompleta. Il carbone così ottenuto dopo 10-14 giorni è pari al 20-25% ca. del peso iniziale della legna.
Il mestiere di carbonaio era molto duro e faticoso. Si viveva nei boschi in piccoli gruppi, in capanne costruite alla bisogna in legno, pietre e fango.
Per prima cosa si costruiva la piazzola o si riadattava una già esistente, ricoprendola con terra fine e ben in piano. Si tagliava e si accatastava la legna vicino alla piazzola e dopo aver quantificato la cubatura necessaria, si iniziava a costruire la catasta.
Si iniziava dal castelletto centrale, una piccola torre vuota di rami. Intorno a questo si accatastavano in senso verticale e per tutta la circonferenza altri rami, fino a formare un cerchio dello spessore massimo per lo spazio della piazzola.
Sopra il primo strato se ne formava un altro, poi un altro fino a formare un cono. Si ricopriva con ramo e frasche e con uno strato di terra fine e molto compatta, lasciando aperto solo il vertice del cono alla bocca del castelletto. Si riempiva il castelletto di rami secchi e fini e si dava fuoco, alimentandolo continuamente con legna sempre più grossa.
Si chiudeva poi la bocca e iniziava il cosiddetto “governare la carbonaia” perché questa aveva bisogno di una attenta e continuava manutenzione, data dalla lunga esperienza. Così si aprivano o chiudevano fori di aerazione sulla cappa di terra in funzione di una giusta cottura del carbone. Il forte vento e la pioggia erano grandi nemici del carbonaio, che doveva intervenire tempestivamente a rimediare ai guasti prodotti.
Dopo una decina di giorni e a seconda dell’esperienza del carbonaio,il carbone era pronto e si poteva sfornare. Si toglieva la terra e con rastrelli, si spargeva il carbone dandogli modo di raffreddarsi. Poi si insaccava in sacchi dal peso di circa un quintale.
Queste operazioni trasformavano gli uomini “ neri come il carbone”. La polvere entrando nei pori della pelle, risultava difficilmente eliminabile anche con frequenti lavaggi.
I mulini ad acqua
I MULINI AD ACQUA
Il mulino ad acqua era già noto ai Romani, ma fu poco usato, probabilmente perché era più disponibile l’energia umana data dagli schiavi.
Il primo documento scritto che ne rileva l'esistenza risale al I sec. a. c.
La sua introduzione nei processi di molitura segue l'adozione della macina a tronco di cono, documentata dagli scavi di Pompei e di Ostia
L'espansione del mulino ad acqua avviene nel corso del Medioevo. Il principio del funzionamento del mulino ad acqua è stato applicato a una vasta gamma di macchine operatrici (pompe, filatoi, magli, ecc.), in grado di utilizzare sia il movimento circolare continuo sia quello rettilineo, alternato attraverso l'impiego di alberi a camme e del meccanismo biella-manovella.
I mulini sorgono sulle rive dei torrentii, nei punti in cui esiste un certo dislivello d'acqua. Uno stretto canale artificiale, detto gora, convoglia l'acqua sulla ruota idraulica. Per regolare la velocitàsi agisce sulla saracinesca della chiusa, che aumenta o riduce il flusso d' acqua.
ruota idraulica ad asse verticale
Nei mulini ad acqua più antichi l'asse è verticale rispetto alla direzione della corrente e l'intera ruota è immersa nell'acqua. Direttamente fissato all'albero in rotazione, il disco superiore della macina ruota alla stessa velocità delle pale e, strofinando su un disco fisso, macina i ceriali, castagne, etc..
Il mulino di piccole dimensioni è piuttosto lento. Per questo lo si usava sopratutto nelle zone di collina dove le correnti d'acqua erano più forti e imprimevano una rotazione più rapida alle pale.
I mulini in Garfagnana
In Garfagnana un tempo ogni comunità possedeva uno a più mulini, costruiti sui torrenti presenti nel territorio della comunità stessa. che venivano dati all’incanto al miglior offerente.
Regole precise disciplinavano l’uso e la manutenzione del mulino da parte del conduttore, il mugnaio. E vi erano obblighi per tutti i residenti di usare i mulini della comunità e di non portare fuori robba a mulinare.
Dagli statuti di Molazzana del XVII° secolo:
..che nessuno di detta Comunità, sia di grado, sesso e conditione esser si voglia possa fuori delle giurisdizioni, e molini di detto Comune macinare robba di sorta alcuna, tanto raccolta in detto territorio, come d’altrove lì introdotta, e che li munnari siano tenuti, et obligati una volta la settimana abiavare (macinare) in detti molini, né detti mannari debbano, né possino per la molenda havere più d’una libbra e mezza di robba per staro di biade, grano, castagnie, et altro né in questo possino accordarsi quei d’un molino con l’altro……
Il mugnaio, per il suo lavoro, aveva diritto alla molenda , generalmente il sei per cento delle farine prodotte. Ma c’era sempre il sospetto e la diceria che il mugnaio fosse disonesto e trattenesse più di quanto gli spettasse.
Rimozione della macina per l'affilatura
IL VOCABOLARIO DEL MULINO
la gora: il fosso che porta l’acqua dal torrente al mulino
il bottaccio: dove si raccoglie l’acqua
la paratoia : per scaricare l’acqua quando non serve
la tromba : dove scende l’acqua versi i rotelli
il bocchino : che restringe il getto d’acqua
il rotello: la turbina a pale che aziona la macina
le macine : la fissa e la mobile
il ceppo: dove gira sopra la macina
il pialancito: di legno che racchiude le macine
la trinuncina: dove si versano i ceriali o le castagne
la gratella : che dalla trinuncina porta sulla macina
Anche sui mulini esistevano storie, dicerie, superstizioni.
Per la notte di Natale era consuetudine fermare le macine per rispettare la nascita di Gesù
Al mugnaio che non la rispettava potevano succedere cose terribili.
…a Calomini tutti si preparavano ad andare alla messa di NATALE.
Tutti, all’infuori del mugnaio che aveva il mulino nel fosso delle Nociacce.Voleva finire di macinare le castagne e decise di perdere la messa.
Così continuò a lavorare ma, quando scoccò la mezzanotte, la macina si fermò e il mugnaio arrabbiato per la perdita di tempo, prese un lume e andò a vedere cosa era successo.
Non era un guasto il fermo della macina, ma un grosso, rosso vitello con le corna e la bocca fiammeggianti, abbracciato alla ruota. Il Diavolo.
Al mugnaio sbiancarono tutti i capelli e quella fu l’ultima volta che fece girare le macine la notte di Natale.
I ruderi del mulino della Chiesaccia |
Il mulino del Brillo - Gallicano |