La visita pastorale del vescovo

IL PRETINO DI PUCCINI – LA VISITA PASTORALE DEL VESCOVO

Quando Mons. Parozzi, Vicario Generale della Diocesi di Massa, mi annunziò per lettera che era imminente una visita pastorale a Fornovolasco da parte del Vescovo Mons. Miniati, mi sentii rabbrividire.

Non era una preoccupazione di carattere spirituale o un rimorso di coscienza per una impreparazione  da parte mia. I registri del piccolo archivio erano in perfetta regola e la Chiesina – piccola ma graziosa anche dal lato artistico – era tenuta pulita da sagrestani o sagrestane che avevo a mia disposizione, cominciando dalla mia Mamma che era una santa donna e che godeva più a spolverare un altare che non a fare cucina.

D’altra parte, amministrare spiritualmente un piccolo villaggio alpestre di quattro o cinquecento anime non era poi una gran fatica e se un prete non trovasse in quella solitudine dei diversivi di indole culturale, religiosa, venatoria, o… sportiva, l’affare sarebbe molto serio. Il mio grave pensiero era dunque di ben altra specie, perché ragionavo così: Dove metto a dormire il Vescovo col suo Segretario? e soprattutto che cosa loro da mangiare in un paesetto dove manca ogni comodità? Ma è bene, dicevo tra me, che i Vescovi debbano vedere con i loro occhi a quale somma di sacrifici o di piccoli eroismi possano arrivare alcuni sacerdoti che sacrificano volentieri la loro gioventù per dedicarsi ad una missione che può diventare nobile ed eroica quanto più segreta ed incompresa.Il Vescovo con il suo Segretario arrivarono sull’imbrunire a dorso di un mulo in un giorno di venerdì.

Eravamo in piena estate; ma lassù l’aria era freschissima. La modesta cena fu ammannita a base di trote, di cui mi potevo permettere il lusso, ordinando quando volevo ai miei vispi chierichetti o ai ragazzi del paese di scendere giù nel torrente a farne abbondante provvista. Se trote e salmoni sono cibo da baroni (vedi Boheme) potevano essere benissimo anche cibo da vescovi. Ma dormire? Io mi arrangiai alla meglio in una branda e cedetti la mia camera al Vescovo, mandando il segretario in quella tale stamberga del paese che funzionava anche da albergo e di cui sopra abbiamo parlato. La stessa meditazione che facevo io da quattro anni in camera mia, l’avrà fatta – suppongo – anche il mio legittimo Superiore, quando si trovò rinchiuso in quel povero cubicolo che non era precisamente quello del suo bel palazzo di Via Beatrice a Massa. Soffitto a tavole di legno, mal connesse, impiantito idem, con sottostante fondo da pecore o da capre. Due finestrelle dalle dimensioni di 70 cm per 50, che guardavano nel torrente, con davanti un’altissima rupe a picco. Ecco lo spettacolo che sua Eccellenza poteva godersi nel suo… luminoso risveglio. Egli non disse nulla ma da alcune smorfie del viso potei leggere benissimo nel suo interno.

Vennero le cerimonie della visita dove egli trovò tutto in regola ed in perfettissimo ordine. Dopo una breve conversazione avuta con me in precedenza sugli usi, i costumi, il carattere, i pregi e i difetti di quella popolazione, fece, durante la messa, un breve discorso a quei buoni montanari che affollavano la Chiesa, disse anche brevi parole di elogio a mio riguardo e concluse esortando i paesani ad una devozione più sentiva verso Cristo in Sacramento, che è il padrone, a preferenza delle statue dei Santi, che sono i Servitori.Dopo un modesto desinare in una stanza superiore alla quale si accedeva per una ripida scala di legno ritornammo giù con lui e col suo segretario nel mio bugigattolo da studio, che misurava tre metri di lunghezza per due di larghezza, e ci mettemmo insieme a recitare il Breviario.

Nei brevi intervalli egli contemplava da quel finestrino lo spettacolo orrido e triste di quello stretto canale col rumore sordo di quell’acqua che accompagnò per quattro anni, come una monotona canzone, i miei pensieri, i miei sogni, e le memorie del mio passato. Ad un certo punto alzò gli occhi al cielo, congiunse le mani ed abbassò la testa dicendo: Mio Dio!..

Poi mi disse:  -Quanti anni c’è stato lei a Roma?

-Quindici anni, Eccellenza.

Egli tacque e riprese la recita del Breviario. Quando si alzò lo vidi pensieroso. Non gli avevo mai chiesto nessun cambiamento, quantunque l’aria umida di Fornovolasco non fosse molto confacente alla salute della mia Mamma. Questo soltanto gli accennai, ma egli non rispose. Potei capire tuttavia dal suo contegno che l’impressione ricevuta da tutto l’insieme della sua visita volesse dire in fondo:  -Ora basta!

***

Il Vescovo ed il suo segretario ripartirono a dorso di mulo verso le quattro pomeridiane per Gallicano. Io restai lassù, ignaro della mia sorte e ben disposto a continuare la mia vita di <<Prete Montanaro>> felice di questa nomenclatura, di cui mi aveva gratificato Puccini all’epoca di Butterfly.

Nell’autunno del 1905 mi pervenne una lettera del Vicario Generale Mons. Parozzi, il quale mi diceva che Sua Eccellenza, per compensarmi del lodevole ministero che per quattro anni avevo esercitato a Fornovolasco e per allargare il campo della mia attività, aveva deciso di nominarmi primo Curato della Cattedrale di Massa. Io accettai subito non solo perché ciò mi lusingava ma soprattutto per tutelare la salute della mia Mamma che rimandai a Pietrasanta a vivere di nuovo insieme al mio babbo.

Tratto da "Il Pretino di Puccini" di Don Pietro Panichelli - Edizioni Plus, Pisa, 2008 - Prima edizione Nistri Lischi Editori, Pisa, 1938.