Il forte sviluppo del Trecento

Dal registro di un notaio camaiorese, Ser Antonio di Ser Filippo, conservato nell’Archivio di Stato di Lucca, si apprende che nel 1308 a Fornovolasco vi era un’intensa attività di fusione di materiali ferrosi; in tale anno è infatti rogato un contratto tra la compagnia mercantile dei Fratelli Gucci de Gangalandi e tali Coluccio di Giacomino e Buoso di Giovanni, lavoratori del ferro in Fornovolasco; questi ultimi, che erano soci, acquistavano 140 “centinaia” di vena di ferro elbana a testa ad un prezzo di soldi 12 per “centinaia”, impegnandosi a cedere alla Compagnia Gangalandi tutto il ferro che fosse uscito in un anno dalla loro fabbrica. Dagli stessi documenti si evince anche che la Compagnia Gangalandi riforniva di vena elbana anche un altro forno e fabbrica a Fornovolasco, gestita da tale Fulcerio quondam Bave insieme al fratello Guido detto Pasera.

Quanto sopra ci fa pensare che si fosse verificato un salto di qualità significativo nel processo di lavorazione del ferro; da una produzione di tipo domestico si era passati ad una con indirizzo commerciale. Si rileva inoltre come la materia prima locale fosse ormai insufficiente a soddisfare le accresciute necessità delle fabbriche; per tale motivo si iniziò a lavorare anche con minerale d’importazione; coesiste quindi l’utilizzo della vena dolce elbana più pregiata e di quella silvestre locale, talvolta miscelate insieme. Una delle ferriere utilizzate all’epoca era probabilmente quella ancora oggi visibile a monte del paese, in località detta “Al Folle”, posta esattamente sotto la verticale della zona mineraria di “Monticello – Le Pose”; diversi studiosi concordano nel definirla la più antica ferriera di Fornovolasco. L’altra ferriera era posta probabilmente in paese. Per quanto riguarda il minerale importato dall’Elba, questo veniva imbarcato a Portoferraio e sbarcato al porto versiliese di Motrone, a quell’epoca uno dei principali della Toscana. Lo snodo commerciale era rappresentato dal centro di Pietrasanta, che fu in seguito definita “la Brescia della Toscana”; qui s’incontravano i principali mercanti di ferro della regione e  qui avvenivano quasi tutte le transazioni commerciali. Da questo luogo il minerale era smistato verso le località con forni e fabbriche per la successiva lavorazione, diverse delle quali erano situate in Valle del Serchio. In genere era usata la viabilità principale che transitava attraverso Lucca, ma nel caso di Fornovolasco veniva utilizzata la mulattiera apuana che si snodava attraverso il Passo di Petrosciana; il trasporto era effettuato con muli o altri animali da soma.

A Fornovolasco era prodotto ferro crudo e cotto, trasformato in semilavorati tipo pani e vergelline, o in prodotti finiti quali chiodi, bombarde, pennati, etc..

I mercati di vendita per le fabbriche di Fornovolasco erano soprattutto due: da un lato il solito mercato di Pietrasanta, dove veniva sfruttata la possibilità di utilizzare gli animali da soma con carico in entrambe le direzioni (materiale grezzo all’andata, manufatti di ferro al ritorno); inoltre parte del materiale veniva dirottato su un mercato più vicino, quello di Gallicano, dove all’epoca operava uno dei maggiori commercianti di ferro della Toscana, Giovanni Zappetta, che smistava il prodotto verso Lucca o in direzione delle ricche città emiliane. Lo stesso Zappetta fabbricava, con il ferro delle miniere di Fornovolasco, palle di cannone, bombarde e cannoncini, in una fabbrica posta nel Canale del Piastraio.

Ruderi di un’antica ferriera del Trecento, poi riconvertita nel Cinquecento a battiloppe. – Foto Buffardello Team

Interno di una delle miniere utilizzate nel Trecento- Foto Buffardello Team